I Malatesti
L'ingresso dei Malatesti nella storia di Rimini non è propriamente trionfale: nel 1197 Giovanni Malatesta, signore di Verucchio, chiede venia per non si sa quali offese fatte ai riminesi, presentandosi con la corda al collo e la spada rivolta verso se stesso, giurando obbedienza e sottoponendo il proprio castello alla città di Rimini. Sul finire del XII secolo, in effetti, questa famiglia della nobiltà rurale originaria di Pennabilli non è ancora gran che potente. I Malatesti si stabiliscono a Rimini nel 1216, allorchè il comune - in cambio del sostegno in caso di guerra - accorda a Giovanni e a suo nipote Malatesta la cittadinanza riminese e regala loro cento lire ravennati perchè acquistino delle case, forse il primo nucleo della futura rocca.
è Malatesta da Verucchio, il dantesco "mastin vecchio", che, inserendosi abilmente nelle lotte di parte e assicurandosi il controllo della podesteria, sbaraglia i rivali e pone le basi della signoria malatestiana. A Rimini i Ghibellini sono capeggiati dalla famiglia dei Parcitadi, che già al principio del XII secolo sono i veri padroni della città a capo dei Guelfi sono i Gambacerri. Malatesta da Verucchio, ghibellino per vecchia tradizione familiare, nel 1248 passa al campo avverso, dove in breve occuperà una posizione predominante grazie all'appoggio della Chiesa e ad un'accorta politica matrimoniale. Nello stesso anno del mutamento di fronte piomba su Rimini, fa prigioniero il podestà e insedia al potere il partito guelfo. Ai ripetuti tentativi di ribellione dei ghibellini, Malatesta risponde esiliandone i capi. Nel 1295 tenta un colpo di mano. Scoppiano violenti tumulti e le opposte fazioni si scontrano per tre giorni. All'indomani della solenne
riconciliazione, Malatesta assalta di notte le case dei capi ghibellini che, sorpresi nel sonno, non possono opporre resistenza. Parecchi muoiono (fra questi Cignatta e Montagna Parcitadi), molti altri sono fatti prigionieri. I Parcitadi si rifugiano a Venezia, da cui non faranno più ritorno in patria.
Ha inizio la signoria dei Malatesti. Il "mastin vecchio" morirà centenario nel 1312. Sposatosi tre volte, genera otto figli. Da Concordia, la seconda moglie, ha tre maschi: Malatestino (detto "dall'Occhio" perchè guercio), Giovanni (detto "lo Sciancato"), marito di Francesca da Polenta, e Paolo (detto "il Bello"): questi ultimi sono celebri per essere gli attori della tragedia familiare immortalata da Dante. Che fondamento storico ha questa vicenda di amore e morte che ispirerà decine di poeti, drammaturghi, musicisti, pittori romantici? Del fatto si ignora tanto l'anno che il luogo. Luigi Tonini propone, con solidi argomenti, la data del 1283 e la città di Rimini. Altri la pensano diversamente. Il solo elemento certo è l'identità dei protagonisti.
Malatestino succede al padre nel 1312. Alla sua morte, nel 1317, diviene signore di Rimini il fratello Pandolfo, che si batte vittoriosamente contro una lega di ghibellini toscani e marchigiani. Nel 1326 gli subentra Ferrantino, figlio di Malatestino, che nel 1334 è deposto dai figli di Pandolfo Galeotto e Malatesta (soprannominato, per l'occasione, "Guastafamiglia"). A costoro il Consiglio generale concede il "dominio" e la "defensoria" a vita della città, trasmissibili ai discendenti: formale atto di legittimazione di un potere già esercitato di fatto.
Privi ormai di avversari, i Malatesti si combattono fra loro. Le lotte intestine hanno provvisoriamente fine nel 1343. Nel 1348 infuria la spaventosa pestilenza che decima l'Europa e che spopola anche Rimini, uccidendo - testimonia un anonimo cronista - due persone su tre. Alla peste, probabilmente, è collegato il rapido tramonto della grande scuola di pittura - il Trecento riminese - che in Neri, Giovanni, Giuliano, Pietro, Francesco e Giovanni Baronzio aveva avuto i suoi principali esponenti.
La peste non arresta invece Malatesta "Guastafamiglia" che, rafforzate e ampliate le mura di Rimini, si espande nelle Marche. Per fronteggiarlo, Innocenzo IV nomina suo vicario il cardinale spagnolo Egidio Albornoz, uomo energico e accorto, che prima ferma il "Guastafamiglia" e poi lo usa contro i Manfredi e gli Ordelaffi. Alla sua morte (1364) la signoria di Rimini passa al fratello Galeotto. Gli succede, nel 1385, il figlio Carlo, il cui governo è ricordato come un periodo di pace e d'operosità: si deve a lui il restauro del porto riminese, che darà alla città cospicui e duraturi benefici. Carlo, che non ha figli, accoglie a Rimini i tre figli illegittimi del fratello Pandolfo III - Galeotto Roberto, di 12 anni, Sigismondo, di 10, e Domenico (più noto come Malatesta Novello), di 5 - e convince il papa a riconoscerli.
Carlo muore nel 1429. Erede della signoria è Galeotto Roberto, un asceta ardente di zelo religioso, del tutto inadatto al ruolo. Il ramo pesarese dei Malatesti cerca di approfittarne e manovra perchè a Rimini scoppino dei tumulti. Ma il quattordicenne Sigismondo raccoglie un esercito e soffoca la rivolta. Galeotto Roberto rinuncia al potere e si chiude in un monastero di Santarcangelo, dove morirà prematuramente per le severe pratiche di disciplina. A soli sedici anni Sigismondo è signore di Rimini.
Brillante capitano di ventura e accorto diplomatico, principe munifico e raffinato mecenate, spregiudicato calcolatore e improvvisatore intemperante, Sigismondo Pandolfo Malatesta è una personalità altrettanto forte che contraddittoria: ma proprio in questa complessità stanno la sua modernità e il suo fascino.
Nel 1433 si ferma a Rimini l'anziano imperatore Sigismondo di Lussemburgo; il suo ospite, che considera l'omonimia un segno del destino, gli riserva un'accoglienza splendida, che l'imperatore ricompensa creandolo cavaliere. Grandi festeggiamenti salutano l'arrivo, l'anno dopo, della prima sposa di Sigismondo Ginevra, figlia di Niccolò d'Este. Gonfaloniere della Santa Sede, Sigismondo è uno dei più quotati capitani del campo pontificio. Nel campo avverso milita Federico da Montefeltro, che diverrà l'implacabile nemico del Malatesta. Nel 1437 questi intraprende la costruzione di Castel Sismondo, solida struttura militare e, insieme, sfarzosa residenza principesca. Nel 1440 muore Ginevra. Francesco Sforza offre a Sigismondo la mano della figlia Polissena. Nel 1447 il Malatesta è al soldo di Alfonso d'Aragona contro Venezia e Firenze, ma un ritardo nel pagamento degli stipendi lo induce a passare al servizio dei fiorentini. Il voltafaccia accresce il numero dei suoi nemici, che lo escludono dai benefici della pace di Lodi (1454).
Nel 1448 era morta Polissena; Sigismondo, che già aveva una relazione semi-segreta con Isotta degli Atti, può finalmente renderla pubblica; la relazione, allietata da numerosi figli, sarà regolarizzata col matrimonio nel 1456. Nel 1449 avevano avuto inizio i lavori di radicale rifacimento della chiesa di San Francesco; l'anno seguente è affidata a Leon Battista Alberti la progettazione dell'esterno del Tempio. è, questo, il momento di maggior splendore della corte malatestiana. Sigismondo si circonda di artisti e intellettuali prestigiosi: oltre all'Alberti, Piero della Francesca, Agostino di Duccio, Matteo dè Pasti, Roberto Valturio, Basinio di Parma.
Nel 1459 sale al soglio pontificio Enea Silvio Piccolomini, che assume il nome di Pio II. Il nuovo papa, che è ostile al Malatesta, al congresso di Mantova gli impone gravose condizioni. Ferito nell'orgoglio, Sigismondo fa alcuni passi falsi che gli attirano i fulmini del pontefice. Il giorno di Natale del 1460 è indetto un solenne concistoro contro il Malatesta: accusato dei crimini più infamanti, è colpito da scomunica e bruciato in effigie. Attaccato dalla truppe coalizzate del papa e di Federico da Montefeltro, Sigismondo perde tutti i suoi domini. Gli è consentito di conservare solo Rimini. Morirà nel 1468 e sarà sepolto nel Tempio Malatestiano, incompiuto.
Il figlio Roberto Malatesta, che sarà detto "il Magnifico", opera abilmente per la riconciliazione con Federico da Montefeltro, di cui nel 1475 sposa la figlia Isabetta. Uomo d'arme come il padre, nel 1481 guida le truppe veneziano-papali che a Campomorte sconfiggono la coalizione milanese-fiorentino-napoletana. Atteso a Roma come trionfatore, vi entra moribondo: per malaria, o forse per veleno. Suo figlio Pandolfo IV, detto "Pandolfaccio", combatte e perseguita la nobiltà riminese, sempre più insofferente della dinastia malatestiana. Quattro volte è bandito da Rimini e altrettante vi rientra, compiendo feroci vendette. Nel 1528 le truppe di Clemente VII lo costringono ad abbandonare definitivamente la città. I Malatesti non vi faranno più ritorno.
Per proseguire